Giovanni Morelli, Angeli, china, 1967/68 ca.

Vom himmel tam der engel schaar

Ecco che scende dal cielo
la schiera degli Angeli


Pensieri per Giovanni

Matteo Giuggioli | 14 ottobre 2020


Azzardo qui un’affermazione molto grezza concernente un inusitato criterio di messa in evidenza dei reali rapporti fra cinematografia e melodrammaticità. Il teatro musicale, fin dai suoi albori (Euridici, Nuove Euridici, Orfei), non è forse, perlomeno solo e soltanto non è, quel che spesso si crede che sia, ovvero l’appagamento di un sogno neoclassico e di ritrovamento, rinascita, resurrezione del grande e premoderno teatro classico greco, quanto piuttosto (comunque soltanto forse) una delle tante incarnazioni del pre-cinema.
Cosa mi fa azzardare un apoftegma tanto zotico e quasi ineducato?
Un’osservazione elementare sulla struttura.
Il cinema-cinema sin dai suoi primi vagiti si conferma come una “pratica”, matura ed efficace, di manipolazione testuale: un complesso di adattamenti, tagli, enucleazioni di dettagli, montaggi di peripezie frammentate o esplose o recepite come imperfette reliquie di lasciti narrativi, relativizzazioni delle unità temporali e locali (reali o percepite), mobilità e altre turbative del “punto di vista”, schianti della prospettiva. Tutte proprietà che non sembrano essere frutto di un’evoluzione (tecnica, concettuale, progressiva), perché si trovano di già belle e fatte e attive ed efficientissime anche nei reperti aurorali della decima arte, quanto piuttosto sembrano essere delle eredità, delle forme-formanti di trasmissione di processi linguistici consolidati (trovati fatti, raccattati, ritrovati e sfruttati in stato di pura rendita). […]

(Giovanni Morelli, Che farem senza Euridice?, in Prima la musica, poi il cinema. Quasi una sonata: Bresson, Kubrick, Fellini, Gaál, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 101-118: 103)


Nell’affermarsi, nell’ambito della cultura occidentale in epoca moderna e con particolare evidenza nell’epoca dei lumi, di un orientamento sistematico alla costruzione di strutture significanti ed espressive di carattere narrativo (al di là del genere artistico o del medium e del tipo stesso di narratività) complesse, caratterizzate dall’equilibrio costante tra unità e varietà, ossia capaci di non disperdere la propria coerenza pur nella multiformità dei materiali e dei temi coinvolti, spesso percorse dalla tendenza alla riflessività metalinguistica, Morelli ravvisa la svolta epocale cui assegna il nome di «pre-cinema» o «cinema del Settecento», a partire dalla «convinzione, paradossale quanto si vuole, di una effettiva pre-esistenza del cinema stesso nel secolo di Fontanelle, Parini, Fragonard, Saint-Just, Jean-Jacques, Sterne, Vivaldi, Franklin, Bach ecc.». Questa svolta non risparmia naturalmente l’opera in musica..

[…]

Scegliendo un film-opera [Orfeusz es Eurydike (1985-86), regia di István Gaál] che si rifà ad un’opera in musica a soggetto mitologico [Orfeo ed Euridice di Ranieri de’ Calzabigi e Christoph Willibald Gluck], Morelli avrebbe un’occasione ideale per discutere i procedimenti di adattamento testuale delle due produzioni (l’opera-fonte e il film che su di essa si basa) a confronto sullo sfondo di questioni, come quella della verosimiglianza, che rimandano alle radici della loro identità di genere e mediale. Egli non è però primariamente interessato a questi aspetti, la cui consapevolezza certo il suo discorso interpretativo presuppone. Analogamente, quando in modo apparentemente sbrigativo riduce l’esame della struttura narrativa dell’opera di Gluck alla segmentazione del suo plot, così come esso è configurato nel film-opera, e allo studio comparato di quest’ultimo con le trame di altri Orfei (Sartorio, Haydn, Křenek), Morelli non liquida il potenziale interpretativo di un’analisi più approfondita in chiave narratologica, secondo gli approcci ormai consolidati, negli studi sul melodramma, all’«opera come racconto». Egli osserva semplicemente il problema da un’altra angolazione, dalla quale i processi di adattamento, sebbene vengano presentati in termini pratici, sono esplorati poi soprattutto nei loro risvolti teorici e culturali. Le prospettive della drammaturgia musicale e della “narratologia” operistica non sono escluse ma date come per acquisite nella ricerca morelliana, che colloca il suo punto di osservazione più in alto, là dove le forme testuali dialogano oltre i confini di genere e addirittura oltre i limiti direzionali del tempo storico. Da questo punto di osservazione è possibile considerare in tutti i suoi esiti l’impatto dei miti sulle forme artistiche non solamente seguendo le loro sorti nelle varie testualità che storicamente li assumono e configurano, ma anche valutando l’azione di queste ultime in termini mitografici. L’approccio di Morelli, che osa avventurarsi su un sentiero molto rischioso di analisi testuale in campo aperto, svincolando termini tecnici come adattamento e montaggio dai loro differenziati e specifici ambiti d’azione entro certi generi e corrispondenti discipline analitiche e assumendoli secondo una grande apertura di senso, si legittima e diventa comprensibile, anche su questo fronte, essenzialmente in quanto “topografia” delle forme della cultura.


(Da Matteo Giuggioli, L’opera in musica come forma del «pre-cinema»: sulla praticabilità di un’idea di Giovanni Morelli, in Variazioni in sviluppo. I pensieri di Giovanni Morelli verso il futuro, a cura di Giada Viviani, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 2017, pp. 130-151: 133, 146-147.



Ascolto proposto:

>>> Sartorio: L'Orfeo - Orfeo, tu dormi · Patricia Petibon · Venice Baroque Orchestra · Andrea Marcon

Scelgo un ascolto che proviene da uno degli Orfei operistici discussi nel saggio morelliano Che farem senza Euridice? attorno al film-opera Orfeusz es Eurydike di Gaál – putroppo irreperibile in rete – come manifestazioni del principio che Morelli indentifica come «pre-cinema». L’opera in musica in questione è L’Orfeo di Aurelio Aureli musicato da Antonio Sartorio e rappresentato per la prima volta nel Teatro San Salvatore di Venezia nel 1672. A proposito dell’“operazione mitografica”, per usare un espressione morelliana, ossia di intervento sul mito e partecipazione al processo senza fine delle sue riscritture attraverso le possibilità offerte da una maniera radicale di manipolazione testuale in cui Morelli riconosce una prefigurazione di quelle che saranno le modalità di elaborazione testuale proprie del cinema, in questa opera «il mito è aggredito da una miriade di adattamenti additivi, caricato di plot aggiuntivi, gravato di peripezie parallele, invaso da personaggi intrusi (persino un Chirone, ma anche Ercole, Achille ed Esculapio, più una falsa zingara), complicato dalle moltiplicazioni diverse di motivazioni drammatiche. (Fra i pericoli di morte di Euridice, non solo si trova il solito serpe, ma anche la gelosia di un Orfeo pronto all’uxoricidio più belluino: affidato a un Orillo, uno Sparafucile ante litteram, ma inetto)». Ascoltiamo il recitativo di Euridice «Orfeo tu dormi?» in apertura della scena IV del terzo atto dell’opera e il lamento seguente della ninfa «Se desti pietà». Orfeo, spossato dal dolore per la perdita di Euridice, dopo avere esternato la sua ira e avere smosso le piante e gli animali con il suo canto miracoloso, è caduto addormentato. Euridice gli appare in sogno in forma fantasmatica e lo esorta ad andare a cercarla negli inferi per riportarla nel mondo dei viventi.. (Matteo Giuggioli)

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